Il Mulino

“L’orecchio attento aveva percepito il leggero cambio di rumore che proveniva dal piano sottostante e cosi nel mezzo della notte, calzate le grandi scarpe chiodate e indossata la giubba ormai bianca, era stato costretto a lasciare il caldo della sua piccola seggiola sistemata sotto la cappa del camino, per calarsi dalla ripida scala che portava alle macine.

Adesso funzionava tutto bene: la battola raccontava la storia del mulino, leggendo, come un ago di grammofono, il solco scritto sulla macina: Il suo tintinnare faceva scendere le castagne dalla tramoggia.

Il mugnaio stette ancora un po’ lì per assistere estasiato, come lo era sempre, alla magia che le avrebbe trasformate in polvere, una farina scura, ancora calda che portata con la mano alla bocca lo faceva sognare caldi abbracci.”

Chi ha sentito, come me, il rumore del mulino ad acqua non lo scorda più e chiudendo gli occhi torna come per magia a quando bambino credeva di possedere enormi poteri quando, afferrata la maniglia e sfilato il chiavistello che la teneva ferma in alto, calava il lungo ferro che faceva chiudere l’apertura che sparava l’acqua sulle pale del ritrecine e così poteva assistere al lento rallentare della pietra fino a fermarsi, come fa un cavallo selvaggio al termine di una lunga corsa.

Il mulino mi racconta ancora storie e leggende, le “due porte” è forse quella che da bambino mi intimoriva maggiormente: al termine delle profonde e scure acque del bottaccio, ci sono due porte, quella dell’inferno e quella del paradiso. Non è facile scegliere quella giusta, non ci sono indicazioni.”

Mi tenevo lontano da bottaccio per non cadere nelle sue acque , ma tanto più per non correre il rischio di entrare nella porta dell’inferno.

Ma una volta l’anno accadeva l’inimmaginabile: il bottaccio veniva svuotato dalle acque e mio zio e il suo amico come due esploratori-archeologi, si legavano al ponticino in pietra della gora e …… si calavano fino alle due porte.

Al ritorno mi raccontavano del rischio passato se avessero tentato di aprire le porte, ma come sempre  anche quella volta erano tornati alla luce avendo svolto la loro missione.

Cosa facevano la in fondo? Vi lascio il compito di fantasticare su cosa facevano e su chi e cosa incontravano la in fondo, ma riaprendo gli occhi posso dirvi che le prese d’acqua hanno bisogno di essere pulite per poter far arrivare con forza l’acqua sulle pale e far muovere così la macina, ma questa è una storia da grandi che rimangono troppo spesso con gli occhi aperti.

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Il Filo

Il filo:cosa semplice e affascinante, chi non si è mai soffermato con in mano un pezzo di spago a giocare con le mani costruendo con esso strane figure, al filo sono legate un sacco di tradizioni e storie e quella che sto per raccontarvi è una di queste.

C’era una cosa che attirava la mia attenzione di bambino durante le passeggiate che facevo con mio nonno Angiolino sui sentieri del nostro San Pellegrino al Cassero: era un grande masso che si trovava al centro del prato dei Pianelli, salivo particolarmente volentieri su quel masso in quanto da quel punto potevo parlare con il “signore della montagna”, infatti, da lì, chiamandolo a gran voce lo sentivo rispondere in continuazione per alcuni secondi e così rimanevo incantato e anche impaurito da quell’eco che si alzava dalla Forra del Cassero.

Accanto al masso c’era però un’altra cosa che mi affascinava particolarmente, si trattava di una strana costruzione in legno. dalla quale partiva, scendendo giù nella valle, un “filo” di acciaio che andava verso chissà quali luoghi o persone misteriose.

Adesso sono passati alcuni anni ed il “filo dei Roncalti”, così ho scoperto che lo chiamavano le persone del luogo in quanto partiva proprio da lì, non ha occupato certo i miei pensieri della vita invernale di città, il destino ha voluto però che nel corso dei miei studi abbia dovuto interessarmi proprio di quel genere di filo che ho imparato a chiamare “palorcio” o “filo a sbalzo”.

Il palorcio è un metodo di esbosco, si definiscono così tutte le operazioni che occorrono a far arrivare la legna dal bosco fino all'”imposto”, cioè il luogo dove è più facile arrivare con un mezzo stradale per trasportare la legna.

Il mecanismo di funzionamento è molto semplice e intuitivo in quanto consiste nel far scivolare la legna appesa a quel filo di acciaio con un gancio realizzato generalmente in legno.

Semplice, però non è sicuramente l’allestimento della linea, la trazione della stessa e le operazioni di esbosco vere e proprie.

La bobina con il filo viene portata a spalla fino al punto più altodella linea da allestire e poi, fissata  a terra in modo che possa girare, fatta srotolare attentamente fino al punto di arrivo o “battuta”, chiamato così in quanto il carico della legna batte con forza contro la struttura finale. Questa può essere direttamente all’imposto ma,  una battuta o più, possono essere collocate in posizione intermedia nel caso di linee molto lunghe o dal tracciato irregolare, ad ogni battuta, durante l’esbosco, deve esserci una persona che passa il carico dal tratto superiore della linea a quello successivo.

Una volta steso il filo questo deve essere portato alla giusta tensione attraverso un sistema anch’esso semplice ma nel contempo estremamente ingegnoso: si tratta di una sorta di argano, ricavato da un tronco al quale far ruotare il filo, questo è trattenuto da altri due pali infissi nel terreno e fatto girare con dei paranchini in ferro inseriti in dei fori praticati ortogonalmente nel tronco stesso; la leva in ferro una volta ottenuta la giusta tensione viene lasciata inserita nel tronco e bloccata da un’altro tronchetto messo a contrasto con i pali infissi nel terreno.

La battuta così realizzata viene generalmente protetta da vecchi copertoni da auto o altro materiale che assicuri un arrivo più dolce del carico di legna.

La linea così preparata ha bisogno solamente delle mani attente e capaci dei boscaioli, mani in grado di eseguire il nodo di collegamento tra il gancio ed in carico con la velocità di un prestigiatore, nodo che deve sapersi sciogliere velocemente una volta scaricata la legna, in modo da poter raggruppare tutti i ganci e farli portare, insieme alle cordicelle, di nuovo alla partenza della linea.

E così il lavoro prosegue tranquillamente fino a quando un rumore più secco del fischiare  del gancio sul filo avvisa che la linea si è spezzata. Niente paura il boscaiolo ha sempre con se il piccolo braciere e il filo di ottone per effettuare sul posto la saldatura dei due capi di acciaio spezzati.

L’operazione deve essere effettuata con grande precisione e comincia con la preparazione dei due capi di filo, questi devono essere sagomati a becco di flauto in modo che possano combaciare perfettamente per un bel tratto di superficie. L’operazione viene effettuata con l’aiuto di una lima cercando di tenere fermo il filo ad incastro su di un legno. Una volta sagomati e fatti combaciare i due capi vengono tenuti insieme da una leggera legatura di filo di ferro e sorretti da due paletti di legno a mo’ di “stendipanni”. A questo punto inizia la fasciatura dei due pezzi di filo, così uniti, con il fine filo di ottone formando una spirale continua; il tratto così legato viene cosparso di “savorace”, sostanza chimica che favorirà la saldatura.

Intanto nel piccolo braciere il fuoco ha già prodotto dei carboni incandescenti , pronti ad accogliere al loro interno la strana costruzione precedentemente preparata. Il braciere con al suo interno il filo viene alimentato con un piccolo mantice in modo da far aumentare la temperatura tanto da far fondere l’ottone che così, penetrando tra le superfici sagomate, salderà perfettamente i due tratti di filo.

A fine operazione solo in pochi saranno in grado di riconoscere dove il filo si era spezzato.

Fin dagli inizi degli anni Venti i nostri monti erano solcati da molte linee e nel periodo a cavallo della guerra una fitta ragnatela ricopriva il territorio raggiungendo la statale. Ancora oggi però chi è attento e interessato alle semplici cose può scorgerli nelle piccole forre che scendono verso la Limentra, ma ricordate si fanno vedere solamente a chi è capace di emozionarsi e parlare con il “signore della montagna” che non smetterà mai di rispondere ad ogni vostra chiamata.

di Andrea Bartolesi – da “nuèter n°46″

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